
Torino, novembre
Pioveva da giorni. Le strade parevano ferite lucide, tagli aperti nella pelle della città.
Giorgia camminava al Balon con le mani fredde in tasca e la mente in cerca di una leggenda urbana da trasformare in click.
Fu allora che lo vide.
Un quadro in mezzo a una pila di vecchie radio, stoviglie spaiate e crocifissi arrugginiti: un bambino piangeva in silenzio. Il volto era immobile, ma lo sguardo sembrava vivo. Dolore incorniciato.
«Quanto?»
Il venditore — un uomo dagli occhi color cenere e il respiro rantolante — la fissò a lungo prima di rispondere.
«Cinque euro… ma ascolta. Se una notte lo senti piangere… non andare a vedere.»
Giorgia rise. «Sarà per il mio blog. Ho bisogno di qualcosa che faccia paura.»
«Ti accontenterà.»
Lo appese quella sera. Subito sotto la finestra, perché voleva che i riflessi notturni amplificassero il senso di disagio.
Lo osservava mentre scriveva: il bambino, eternamente sospeso nel dolore.
Poi iniziò a sentirlo.
Non un pianto.
Una voce nella testa.
«Fa freddo qui. Tu hai caldo. Ma io ho freddo.»
«…Che cavolo.»
Si voltò. Il quadro era immobile, ovviamente. Ma i battiti del cuore le facevano vibrare le tempie.
«Perché mi hai svegliato?»
«Tu volevi una storia. Io sono una storia. Una che non finisce mai.»
Nei giorni seguenti, Giorgia sentì le cose scivolare fuori dall’ordinario.
Oggetti spostati. Sussurri nei cassetti.
E poi il sogno.
Un orfanotrofio annerito, fiamme alte, bambini che correvano. Uno solo era immobile. Lui. Bruciato fino al cuore, ma intatto fuori. Lo chiamavano “il piccolo incombusto”.
Nessuno lo volle mai.
Giorgia portò il quadro in terrazzo.
Lo guardò. Le mani tremavano.
«Ti brucio. Finisce qui.»
«Ma io non brucio. Non qui. Non più.»
Accese il fiammifero.
La fiamma danzò un secondo… poi si spense. L’aria diventò improvvisamente più densa. Dietro di lei, passi nudi sul cemento.
Quando si voltò, nessuno.
Solo il quadro. Ma gli occhi… stavano sorridendo.
«Ogni volta che provano a distruggermi, io divento più reale. Non capisci? Tu ora mi conosci. E io vivrò nella tua memoria. Come la brace sotto la cenere. Basterà un soffio.»
Giorgia non pubblicò mai quell’articolo.
Non scrisse più nulla, in realtà.
La trovarono due mesi dopo, nel suo appartamento annerito.
Tutto ridotto in cenere… tranne il quadro, appeso e lucido come appena comprato.
Nessun segno di combustione su di esso.
Solo una firma che prima non c’era:
Ti ho raccontato una storia, come volevi.
Ora racconta la mia:
Mi chiamavano “cosa”, “l’incombusto”.
Mi lasciarono piangere finché la pelle non divenne carta, e il cuore brace.
Ma tu mi hai trovato.
Mi hai ascoltato.
Ora sei piena di me. E quando la tua memoria svanirà, qualcun altro mi vedrà.
Mi porterà con sé.
Mi appenderà.
E allora…
Piangerò ancora.
Per sempre.
Grazielladwan (C)
La leggenda moderna del quadro del bambino che piange è uno degli esempi più famosi di folklore urbano contemporaneo, particolarmente diffuso in Europa — e soprattutto nel Regno Unito — dagli anni ‘80. Ecco cosa c’è da sapere:
Origine del quadro:
Il soggetto è un bambino dal volto triste, spesso con una lacrima sulla guancia. Il dipinto più famoso della serie è noto come The Crying Boy, attribuito a un pittore italiano con lo pseudonimo di Giovanni Bragolin (vero nome, presumibilmente Bruno Amadio). Negli anni ’50 dipinse diversi ritratti di bambini piangenti, spesso orfani della guerra. Questi quadri furono riprodotti in stampe a basso costo e venduti in tutta Europa, diventando particolarmente popolari.
La leggenda
La leggenda esplose nel 1985, quando il tabloid britannico The Sun pubblicò un articolo con il titolo:
“Blazing Curse of the Crying Boy”
Il pezzo riportava che molte case in cui era appeso questo quadro avevano preso fuoco misteriosamente — e in tutti i casi, il quadro del bambino che piange era l’unico oggetto a restare intatto tra le macerie.
Questo ha fatto nascere l’idea che il quadro fosse maledetto, in grado di provocare incendi o, per lo meno, di essere immune ad essi per ragioni soprannaturali.
Alcune delle teorie più folkloristiche e inquietanti includono:
Il bambino raffigurato era un orfano che, ovunque andasse, portava con sé il fuoco (secondo alcuni, il diavolo lo seguiva). Il pittore aveva venduto l’anima al diavolo per il successo. I quadri erano maledetti da una strega gelosa della popolarità del pittore.
Più tardi, alcune indagini scoprirono che:
I quadri erano stampati su un tipo di cartone trattato con vernice ignifuga, il che spiegherebbe perché non bruciassero facilmente. Erano appesi con fili che spesso si staccavano per primi durante un incendio, facendo cadere il quadro a faccia in giù, proteggendolo ulteriormente dalle fiamme.
Influenza culturale
Il mito ha ispirato documentari, podcast, racconti dell’orrore e persino alcuni episodi di serie TV. In molti mercatini o case di anziani in Europa si trovano ancora queste stampe, e alcuni le evitano per superstizione. C’è persino chi le brucia in gruppo, come forma di esorcismo simbolico.
Scrivi una risposta a gaberricci Cancella risposta