Se dovessi rinunciare a una parola che usi regolarmente, quale sarebbe?
Rinunciare a una parola significa rinunciare alla libertà!

Immagina una vita in cui ogni parola che pronunci viene misurata, pesata e poi lentamente sottratta. Una parola oggi, una domani. All’inizio, sono parole che sembrano superflue, insignificanti, ma presto si arriva a quelle che ti definiscono, che scolpiscono la tua identità. In questo meccanismo, alla maniera kafkiana, rinunciare a una parola diventa un atto di rassegnazione all’assurdo, un atto di complicità con il sistema opprimente che ci circonda.
La parola non è solo un mezzo di comunicazione; è una manifestazione della tua essenza. Quando ti viene chiesto di rinunciare a una parola, non è solo una piccola perdita semantica, ma la cessione di una parte della tua libertà. È la privazione di uno spazio in cui ti muovi, pensi e esisti. Ogni parola persa è un passo verso un mondo in cui l’individuo diventa una macchina, priva di voci autentiche.
Come in un romanzo di Kafka, dove i protagonisti si trovano intrappolati in sistemi labirintici e senza senso, rinunciare a una parola significa accettare di essere inghiottiti da un meccanismo oscuro. Un sistema che, senza spiegazione, chiede sacrifici sempre maggiori e più assurdi, fino a che l’uomo non si riduce a un ingranaggio in una macchina alienante.
E così, rinunciare a una parola è cedere una parte della tua anima. Significa accettare che il mondo esterno possa controllare ciò che dici, come lo dici, e in definitiva, chi sei. Non è solo un atto di conformismo, ma una resa silenziosa a un potere che si nasconde dietro la logica e la razionalità, ma che in realtà è intrinsecamente assurdo.
La parola è libertà. E chi ti chiede di rinunciarvi, non vuole altro che il tuo silenzio.
Grazielladwan (c)
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