NAKBA storia di una famiglia

Iniziamo con un po’ di storia così da capire le basi che hanno portato all’attuale situazione dei profughi palestinesi.
1917- la dichiarazione Balfour , niente è che una lettera inviata dall’allora ministro degli Esteri britannico a Lord Rothschild, rappresentante della comunità ebraica in Inghilterra e componente del movimento sionista. In questo documento, l’inglese afferma che il Governo britannico di sua Maestà è favorevole alla creazione di un focolare ( così è la traduzione) ebraico all’interno della Palestina, è evidente che nella lettera non si è mai fatto accenno alla parola “Stato ebraico”. Tra il 1922 e il 1939 i britannici danno il via all’immigrazione ebraica in Palestina, tanto che viene costituita la prima amministrazione ,Yishuv , ebrea nei territori occupati. Questo sarà il seme del futuro stato di Israele.
Intanto in Europa imperversava la seconda guerra mondiale e per sfuggire all’Olocausto,centinaia di migliaia di Ebrei andarono in Palestina, tanto che nel 1948 sarà necessario l’esodo forzato di circa 700.000 palestinesi dalle proprie terre, per fare spazio al neonato stato di Israele. Questa è la Nakba ( dall’arabo catastrofe, distruzione ) ed è ricordata ogni anno al 15 maggio, giorno in cui vennero forzati a sfollare i palestinesi che vivevano nelle terre del nuovo stato.

14 maggio 1948, le bande terroristiche che provenivano dall’Europa imperversavano nei territori occupati, massacrando e distruggendo interi villaggi così da convincere l’intera popolazione a lasciare le terre. Mohammed e Fatima vivevano in uno di questi villaggi, Al Borj, così chiamato per la presenza di una torre romana sulla sua collina. Mohammed era un aiuto panettiere presso un forno di Jaffa, Fatima aveva già due figlie a cui accudire Raissa e Roqaia,il loro matrimonio era come quello di tanti a quei tempi, la famiglia aveva deciso per loro, i due cugini diventarono sposi pur avendo circa quindici anni di differenza. Mohammed aveva un buon lavoro e a breve avrebbe potuto aprire un forno tutto suo, era figlio unico e orfano,godeva del rispetto di tutta la famiglia, per questo i genitori di Fatima videro nel nipote ” l’uomo adatto per la figlia”. La casa che Mohammed aveva regalato alla moglie non era molto grande, ma in futuro avrebbero potuto aggiungere piani per accogliere le famiglie dei loro figli e poi c’era un bellissimo giardino in cui piantò un ulivo, sarebbe cresciuto con la famiglia.
Gli eventi della loro vita precipitarono di giorno in giorno, arrivavano continuamente persone sconosciute a chiedere loro di vendergli la casa, un giorno non fu una richiesta, ma un imperativo, dovevano lasciare la loro abitazione e la terra, il nuovo Stato non permetteva ai natii del posto di possedere beni immobili, ne di viverci o lavorare. Ai due sposi non restò altro da fare che prendere le loro figlie e il poco che avevano ed andarsene.
15 maggio 1948, Mohammed e Fatima uscirono dalla loro casa e si aggregarono con le due figlie, alla lunga coda di sfollati che si dirigevano verso altri villaggi non prima però di aver preso la chiave della loro casa, sarà per tutta la vita il simbolo del ritorno .
Andarono nel villaggio di Saffa in provincia di Ramallah dove viveva una zia di Mohammed . Una disgrazia si abbatté sulla famiglia e le due bimbe morirono per dissenteria, la disperazione di Fatima venne sedata dall’arrivo di un figlio, Musa e nel frattempo Mohammed andò a lavorare in un forno di Amman in Giordania, perché in quella parte di Palestina non c’era lavoro. La vita nel villaggio di Saffa era difficile , i due sposi dovettero affittare una casa perché arrivò un altro figlio, Said e poi Mohammed era sempre via per poter lavorare, da qui la decisione di trasferirsi ad Amman. Per un breve periodo affittarono una casa finché ne venne data loro una dall’UNRWA cioè l’agenzia delle Nazioni Unite che provvede ai rifugiati palestinesi, si trattava di una stanza con annesso un pezzo di terra dove Mohammed costruì immediatamente un gabinetto, non era uomo da dividere la sua privacy con altri,tanto meno il WC. Ora la vita sembrava avere una ragione, da questo momento nessuno della sua famiglia avrebbe fatto più la fame. Con gli anni arrivarono altri otto figli e Mohammed poté comprarsi il suo forno e poi anche un terreno dove costrui una casa,una degna del nome,con quattro camere, la cucina e il bagno.
Oggi la famiglia vive ancora in questa casa, adesso è grande, ci sono altri due piani, tre dei figli ci vivono con le rispettive famiglie, altri due hanno preferito comprarsi case diverse e Musa il più grande che ha studiato medicina in Italia è ancora li. Uno dei figli , Said, purtroppo non c’è più se lo è preso il massacro di “settembre nero” cadde sotto i colpi dell’esercito Giordano che voleva espugnare il gruppo ribelle dei Fedayn, fu sotterrato in una fossa comune,nessuno ne seppe più nulla, solo la testimonianza di uno zio presente alla carneficina disse di averlo visto morto. Lui che non centrava nulla, stava lavorando, faceva il meccanico.
Questa è la storia della famiglia di mio marito Musa, gli avvenimenti mi sono stati raccontati direttamente da lui e dalla sua famiglia, Mohammed mio suocero morì nel 2008 all’età di 92 anni e fino alla fine ho visto in lui un uomo pieno di orgoglio per aver dato una vita più che dignitosa alla sua famiglia. Siamo riusciti nel 1999 a riportarli al loro paese come turisti, hanno rivisto la loro casa, ora abitata da coloni ebrei,e hanno potuto pregare nella moschea della Cupola della Roccia, un nostro regalo a due persone straordinarie.
Graziella Adwan

Pubblicato da grazielladwan

Sono animalista, antispecista e mi batto per diritti animali e umani.

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